Le rotte adriatiche – Iasci –

Dietro l’elettrodotto Villanova-Gissi: le rotte adriatiche dell’energia “pulita”

 

Si parla poco sui media nazionali di quello che sta avvenendo tra le colline della provincia di Chieti e Pescara, nei 16 comuni interessati dall’elettrodotto Villanova-Gissi. Solo la stampa locale non può fare a meno di raccontare la vicenda che contrappone da molti anni la popolazione locale al colosso dell’elettricità Terna e ad Abruzzoenergia società di proprietà di A2A (multiutility di Milano e Brescia che gestisce l’inceneritore di Acerra).

Un’infrastruttura tecnologica considerata (fino al 2007) strategica per il trasporto dell’energia, ma da molti osteggiata perché costosa e dall’impatto irreversibile sui territori. La pericolosità di quest’opera è data dai campi elettromagnetici che vengono considerati perfino dall’AIRC gravemente rischiosi per la salute umana. Inoltre la presenza di questa grande opera porterebbe ad un notevole deprezzamento dei terreni e delle case.

Nell’ultimo mese il rapporto tra Terna e cittadini è precipitato perché hanno avuto inizio gli espropri. Ora che i presidi di centinaia di persone impediscono ai tecnici della società di entrare nei terreni sembra essersi aperto un tavolo che coinvolge i comitati dei cittadini. Proviamo in questo articolo a tracciare delle linee delle politiche aziendali di Terna e A2a nell’Adriatico e in particolare con le aziende di stato di Montenegro, Serbia e Bosnia Erzegovina.

 

Il fronte montenegrino: il ruolo di A2A

Prima nel 2007 Prodi e Bersani, poi nel 2010 Berlusconi e Scajola cominciano gli accordi di cooperazione commerciale con il primo ministro del Montenegro Milo Djukanovic.

Il Primo ministro famoso per essere stato eletto subito dopo l’indipendenza ed essere rimasto al potere per più di vent’anni, è conosciuto in Italia per essere stato inquisito dalle procure di Bari e Napoli per contrabbando internazionale di sigarette e uscito “pulito” dall’inchiesta solo grazie all’immunità parlamentare.

Sono in tanti dal Belpaese a varcare l’Adriatico e a mettersi in prima fila per partecipare alle trattative con il governo del Montenegro. Tra questi: A2A, Enel,Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini.

Gli accordi più interessanti sono quelli sull’energia.

Il Montenegro sta procedendo a una massiccia privatizzazione delle sue aziende energetiche e

la multiutility A2A coglie l’occasione prendendo il 43% della società pubblica montenegrina EPCG (Elektropriveda) con un investimento di 500 milioni di euro.

Nell’acquisizione di EPCG saranno determinanti per a A2A i fondi di investimento (5%) in mano a Beselenin Barovic anche lui coinvolto nell’inchiesta sul contrabbando internazionale.

In Montenegro, oltre ad A2A, che realizza quattro centrali idroelettriche, c’è possibilità anche per altri di spartirsi la torta. Terna si aggiudica la costruzione dell’elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat, Enel un impianto a carbone e Duferco un termovalorizzatore.

È chiaro il progetto a cui le imprese italiane lavorano: costruire impianti per la produzione di energia “pulita”, trasportarla in Italia attraverso il cavo sottomarino, e distribuirla sul territorio nazionale costruendo nuovi elettrodotti. Già da subito nascono problemi per A2A, infatti il governo montenegrino abbassa le tariffe energetiche per i propri cittadini e EPCG è costretta a vendere al ribasso l’energia nello stato ex jugoslavo. Inoltre EPCG si riempie di debiti a causa dei mancati pagamenti dell’azienda privata KAP. A causa del debito di EPCG, A2A crolla in borsa e il suo titolo vale dieci volte meno che prima di acquisire la quota dell’azienda montenegrina.

Ma c’è di peggio. A2a per acquisire EPCG immette 70 milioni di euro nelle casse di Prva Banka un istituto di credito a rischio default di proprietà di Aco Djukanovic fratello del primo ministro, che grazie a questa operazione riesce a salvarsi. Il motivo per il quale A2A salva una banca in crisi di proprietà della famiglia Djukanovic con i soldi delle bollette dei cittadini per acquisire le quote di EPCG non è mai stato spiegato dai vertici della multiutility.

 

Serbia e Bosnia Erzegovina: gli interessi di Terna e Maccaferri

L’elettrodotto sottomarino di Terna, non trasporterà solo l’energia del Montenegro ma anche quella della Serbia e della Bosnia Erzegovina.

In Serbia Scajola nel 2009 prende l’impegno, a nome del governo italiano, di acquistare per 15 anni energia verde e di costruire tredici centrali idroelettriche. Il prezzo concordato a cui il governo italiano acquista l’energia è di 150 euro a megawattora, più del triplo rispetto al prezzo di mercato serbo. Più del doppio di quello italiano.

Inoltre il 7 giugno del 2011 l’Italia conclude un accordo con la Republika Srpska (una delle due entità politiche che in base agli accordi di Dayton compongono la Bosnia Erzegovina) per la costruzione di tre dighe sul medio corso del fiume Drina. Un investimento di 830 milioni di euro. Il progetto prende il nome di “Srednja Drina”.

Viene coinvolta nell’affare anche la Serbia, che il 25 ottobre del 2011, attraverso la più grande compagnia elettrica nazionale (EPS) firma un accordo per la costituzione di una join venture con la Seci Energia del gruppo Maccaferri, finalizzato alla costruzione di dieci centrali idroelettriche sul fiume Ibar (Seci Energia controllerà il 51% della società).

L’energia prodotta dai fiumi Ibar e Drina verrà mandata verso il Montenegro e poi trasferita in Italia attraverso il cavo Terna da Tivat a Pescara, la cui costruzione è preventivata per il 2015, con un costo di 860 milioni di euro.

Nel suo rapporto del 2012 la rete CEE Bankwatch, riscontra nel progetto delle irregolarità, in quanto l’accordo tra Serbia e Italia sarebbe stato fatto senza gara d’appalto,in più Seci Energia non ha nessun tipo di esperienza nella costruzione di centrali idroelettriche. Bankwatch ha espresso perplessità anche rispetto all’impatto ambientale delle opere perché l’energia proveniente dalle centrali sulla Drina e sull’Ibar dovrà attraversare il territorio di due parchi nazionali (Lovcen e Durmitor) e una riserva naturale protetta dalla convenzione Natura 2000. Il punto di partenza della linea di trasmissione si trova nei pressi di una centrale a carbone e c’è il pericolo che all’interno del cavo marino di Terna possa passare anche energia non pulita.

Tra le realtà ambientaliste della regione più attive c’è il “TEA”. L’associazione denuncia che le dighe possono avere notevoli risvolti sulla biodiversità e sulla vita del fiume Drina, già pesantemente sconvolto dall’azione umana. Le dighe infatti, come dicono anche i pescatori, potrebbero avere effetti devastanti sulla fauna ittica e su l’economia del territorio. A schierarsi con gli ambientalisti ci sono anche gli enti locali. Il sindaco di un centro sulle rive della Drina denuncia l’assenza di coinvolgimento delle comunità e di una seria valutazione dei rischi. La paura è che più di un paese venga inondato come successo prima della disgregazione della Jugoslavia per opere simili.

Crisi ed energia

Dopo aver analizzato cosa accade nei luoghi di partenza dell’energia e il contesto nel quale si sviluppano queste grandi opere dobbiamo porci come domanda il perché, in questo momento di crisi economica e di riduzione della domanda energetica, Terna e A2A , siano interessate ad investire ingenti risorse economiche per aumentare l’approvvigionamento energetico proveniente dall’estero. Una prima risposta può essere trovata nel “Piano 202020” dell’unione europea , che impone ai Paesi membri di ridurre le emissioni di gas serra del 20%, di aumentare la quota di energie rinnovabili fino al 20% e di ridurre gli sprechi fino al 20% entro il 2020 . Ecco spiegata la corsa frettolosa dello Stato italiano a fare accordi commerciali con i paesi balcanici per accaparrarsi la loro energia “pulita” e per costruire infrastrutture capaci di produrla e trasportarla sul nostro territorio.

L’altra risposta arriva direttamente dalle strategie di sviluppo industriale di Terna. La società nel 2012 dichiarava che, con la liberalizzazione del mercato energetico per mantenere il rapporto tra produzione e fabbisogno, bisognava investire massicciamente sulle infrastrutture e diversificare le fonti dell’approvvigionamento, aumentando l’importazione di energia.

L’importazione di energia, che fino al 2000 serviva a coprire il fabbisogno nazionale, ora invece serve ad accumulare una riserva energetica che è passata tra il 2009 e il 2012 dal 9% al 45% . Cosa dobbiamo farci con tutta questa energia di riserva?

Secondo i manager di Terna c’è bisogno di potenza disponibile per garantire la stabilità del sistema, e per garantire un ipotetico fabbisogno futuro. Investire soldi che appartengono a tutti noi sperando in una ripresa del mercato. Una formula già sentita, se non fosse che proprio i dirigenti di Terna affermano che nel 2013 l’asticella dei consumi di energia elettrica in Italia si è fermata a 317,1 miliardi di KWh, facendo registrare una flessione del 3,4% rispetto al 2012, con una variazione mensile di fabbisogno negativa per tutto il 2013.

E’ facile capire che, non solo il calo della domanda dei consumi energetici è incompatibile con la costruzione di nuove infrastrutture ma c’è in atto da parte delle istituzioni europee e delle maggiori aziende degli stati membri un processo di allargamento verso est della produzione di energia pulita. Questa strana forma di colonialismo si gioca nelle sale di ricevimento dei palazzi presidenziali degli stati balcanici e gli invitati sono le maggiori imprese quotate in borsa dell’Europa occidentale. Esse sono coloro che banchettano sul mercato internazionale dell’energia con gli incentivi europei e con i soldi delle nostre bollette. Mentre le popolazioni a est o a ovest dell’adriatico si vedono spuntare dighe o tralicci che modificano radicalmente il territorio producendo nuovi rischi per la salute e per l’economia locale.

 

 

Sentirsi comunità

Le dighe, la privatizzazione del territorio, gli elettrodotti, l’occupazione dei terreni,dai Balcani all’Abruzzo c’è uno stesso progetto di sfruttamento delle risorse. Anche i soggetti che compiono gli scempi sono gli stessi: governi, Terna, A2A e tutti coloro che permettono il riprodursi di certe dinamiche. Alla base di questo processo c’è la corruzione di intere classi dirigenti statali, ci sono investimenti enormi, ci sono imprese italiane che si accaparrano risorse di altri paesi e mettono in moto un’occupazione finanziaria dei territori, nei quali tutto diviene merce da vendere sul mercato, la salute, l’acqua o le valli. Non è sufficiente guardare il conflitto dei contadini abruzzesi contro l’elettrodotto sganciandolo dal ruolo complessivo che l’energia sta rivestendo nel mercato globale e nei nuovi asseti di potere continentali. Un esempio ce lo offre la più grande utility del mondo, la cinese State grid, che entra nel mercato italiano dell’energia rilevando il 29,9% di Terna e il 30% di Snam. Sarà rappresentata nel consiglio di amministrazione di due grandi società di gestione di infrastrutture energetiche italiane che di fatto decidono i prezzi di servizi essenziali come gas ed elettricità. Altro che piani energetici nazionali, in questa giungla mondiale di società di capitali è il più ricco a vincere.

Ma nella difesa del territorio dei cittadini abruzzesi c’è l’essenza più pura della decisione politica, la libertà di scegliere fuori da qualsiasi forma di condizionamento o di dipendenza dal denaro. Si indica un modello di sviluppo alternativo fatto di gestione e conservazione del territorio. Quelle lotte che valgono pochissimo sui mercati per il futuro di una comunità contano più di qualsiasi altro bene. Uomini e donne di generazioni diverse che si convocano sui campi interessati dagli espropri, per difendere quelle terre e cacciare i tecnici di Terna che vengono a comprare la loro dignità, la loro storia, la loro vita. E’ questo ciò che accade nella periferia di questo paese lontano dai riflettori delle metropoli. E’ il tentativo di ricostruire una comunità che resiste a uno sviluppo insostenibile. Da una parte c’è chi ha i soldi e tenta di comprare, dall’altra chi ha meno ma sceglie di non vendere, di là c’è Terna di qua le comunità del territorio. Nella periferia rurale abruzzese si è capito contro chi lottare e da che parte stare. E di questi tempi di sicuro non è poco.

Sitografia:

http://www.narcomafie.it/tag/milo-djukanovic/

http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/daniela-patrucco/svolta-energetica-produzione-coordinamento-democrazia/maggio

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=110981

http://www.formiche.net/2014/08/26/terna-perche-repubblica-teme-le-ombre-cinesi-state-grid/

http://www.eastjournal.net/montenegro-berlusconi-elettrico-e-le-privatizzazioni-balcaniche-riassunto-di-uninsuccesso/26132

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/La-terra-dell-oro-blu-130017

Lascia un commento