“Idomeni: I dannati della terra” Il racconto di Carmelita – Zona22

Pubblicato: 1 aprile 2016 in zona 22

 

Di ritorno da Idomeni, le immagini e le emozioni si affollano in un vortice di rabbia ed indignazione. E’ difficile riuscire a tracciare una narrazione di quello che sta accadendo oggi ai confini dell’Europa, dove migliaia di persone in cerca di libertà e di una vita degna sono bloccate per un tempo indefinito, senza possibilità di poter progettare il proprio percorso di vita, né di avere informazioni su quanto accadrà a loro e alle proprie famiglie.

La situazione di Idomeni è stata definita “drammatica” anche dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, che ha accusato i leader europei di “violare i principi della solidarietà, della dignità e dei diritti umani”. Una delle più atroci sconfitte morali per l’Unione Europea e per le democrazie occidentali, dove l’umanità e la solidarietà vengono spietatamente calpestate in onore delle leggi del libero mercato.

Abbiamo camminato per ore, tra il fango e il fumo tossico che avvolge la tendopoli, ascoltando storie di vita infranta, parlando con i volontari delle ong, giocando con i piccoli che vivono nel campo, nonostante tutto sempre disposti ad elargire sorrisi.

Il campo di Idomeni, al momento, conta circa 11000 persone, di diversa provenienza. La maggior parte sono curdi e siriani, ma ci sono anche iracheni, afghani, giordani, libanesi, bengalesi, pakistani, etc.

Circa il 40% sono bambini, costretti a vivere tra freddo e immondizia. Le condizioni igienico-sanitarie sono estremamente precarie, con grave rischio di emergenze sanitarie, ci dice una volontaria di Medici Senza Frontiere, l’organizzazione più presente all’interno del campo di Idomeni. Il rischio, inoltre, è che con l’aumento delle temperature, possano scatenarsi gravi epidemie all’interno della struttura. Oltre ai tendoni di Medici Senza Frontiere, sono presenti diverse associazioni per la tutela dei diritti umani, oltre a poche tende dell’UNHCR.

I volontari delle ong si impegnano a gestire la distribuzione di abiti e alimenti, a svolgere attività ludiche con i bambini, a gestire la struttura del campo. Quello che percepiamo, e che ci viene confermato da diversi volontari, è la mancanza di un vero coordinamento tra le ong, e la loro insufficienza di fronte ad un’emergenza di tale portata.

La marcia #overthefortress: solidarietà dall’Italia

Durante la nostra seconda giornata di permanenza ad Idomeni, arriva la marcia #overthefortress: quasi 300 attivisti da tutta Italia. Sono attivisti degli spazi sociali del Nord Est, delle Marche e di Parma, siciliani NoMuos, il “team legale”, gli amici del Baobab, la delegazione di Welcome Taranto, l’associazione lgbt Anteros, la Federazione europea dei giovani Verdi, interpreti di arabo, sanitari, insegnanti e le donne della carovana per i diritti dei migranti.

Hanno portato camion di aiuti umanitari raccolti in Italia, allestito due postazioni per portare energia elettrica con generatori e per dare copertura wifi a tutta l’area, indispensabili per i profughi per comunicare con le famiglie e amici lontani via telefono e ricaricare i cellulari. Hanno persino montato un gazebo per le attività con i bambini. E sono ripartiti con la lista di nuovi impegni concordati con Medici senza frontiere, volontari e ong “di base”.

Idomeni e il popolo greco

In prossimità del campo, diverse abitazioni sono state messe a disposizione dagli abitanti greci per permettere ai profughi di trovare ristoro. Qui la solidarietà del popolo greco è altissima. Il gestore di un hotel poco lontano dal campo, ad Evzoni, continua a svolgere la sua attività, dando ospitalità gratuita a diversi profughi che dormono all’interno della sua struttura. E’ un gesto di estrema umanità. Proprio il popolo più vessato d’Europa, davanti alla sofferenza e alla miseria altrui non dà segno di barricarsi nel proprio egoismo. Alcuni leader politici dovrebbero prendere esempio da questa enorme lezione di vita che la gente comune è in grado di dare in risposta all’indifferenza dei governi.

Storie di vita ai confini

Ahmed è un uomo siriano che abbiamo incontrato nel campo. Si è reso subito disponibile a fare da mediatore culturale con alcuni profughi che comunicano in arabo. Ci spiega che le notti ad Idomeni sono insonni per molti, a causa delle temperature troppo rigide e dell’angoscia di ritrovarsi ancora di fronte all’orrore. Ha lasciato la Siria, il suo Paese di origine, perché la sua città era stata bombardata. Ha perso diversi cari a causa della guerra. Vuole lasciare un messaggio ai leader politici europei “Siamo qui per ottenere salvezza. Siamo arrivati in Europa per un sogno di giustizia. Pensavamo fosse un posto in cui i diritti fondamentali della persona vengono rispettati. Volete che torniamo in Siria? Bene, fermate la guerra e avremo di nuovo un posto in cui tornare”.

In questi giorni in molti stanno lasciando il campo a bordo degli autobus inviati dalle autorità greche per il trasferimento verso i cosiddetti “campi attrezzati”, ovvero campi militarizzati che fungeranno da hot spot per lo smistamento dei richiedenti asilo. L’operazione è coordinata dall’UNHCR, l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, e si inserisce nel contesto del negoziato Europa-Turchia. Secondo alcune fonti l’obiettivo è quello di sgomberare il campo di Idomeni entro il 4 Aprile, data in cui entrerà in vigore l’accordo siglato tra UE e Turchia.

L’Accordo UE-Turchia: 6 miliardi di euro ad Ankara per il mercanteggiamento dei migranti

Un accordo fortemente contestato da diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani. Secondo Amnesty International l’Unione europea rischia di rendersi complice di gravi violazioni dei diritti umani ai danni di rifugiati e richiedenti asilo in Turchia. Nel rapporto, intitolato “Il piantone dell’Unione europea”, già nel 2015 Amnesty International denunciava come, in parallelo con i colloqui tra Turchia e Unione europea in tema d’immigrazione, le autorità di Ankara abbiano fermato centinaia di rifugiati e richiedenti asilo e li abbiano trasferiti in pullman verso centri di detenzione isolati. Alcuni di loro hanno riferito di essere rimasti incatenati per giorni, di essere stati picchiati e infine di essere stati rinviati nei paesi da cui erano fuggiti.

L’accordo tra UE e Turchia prevede che tutti i “migranti irregolari” che arrivano in Grecia attraverso la rotta balcanica, siano rimandati indietro in Turchia. Eppure, proprio l’assenza di corridoi umanitari sicuri e legali sulla rotta balcanica, determina la condizione di “irregolarità” di chi ha dovuto affrontare un viaggio al limite della sopravvivenza, affidandosi ai trafficanti di migranti per portare in salvo se stesso e la propria famiglia da guerre miseria e persecuzioni.

Per ogni profugo che sarà riammesso in Turchia dalla Grecia, l’Unione europea s’impegna a riammetterne uno sul suo territorio attraverso un visto umanitario. Tutto l’accordo si basa sul riconoscimento della Turchia come “Paese terzo sicuro” o come “Paese di primo asilo” per quanti successivamente arrivano in Grecia. Definizioni entrambe inappropriate come confermano le condanne che subisce dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Turchia inoltre mantiene tutt’ora la limitazione geografica alla Convenzione di Ginevra, ed è tenuta ad accettare richieste d’asilo provenienti solo da cittadini europei. Un fatto che esclude siriani, iracheni, afgani (per citare 3 dei Paesi in cui attualmente è più pericoloso vivere) dal riconoscimento dello status di rifugiato. Evidentemente, la Turchia non può essere considerata un “Paese terzo sicuro” dove rinviare persone bisognose di protezione internazionale.

“L’altra grande preoccupazione” come afferma il CIR (il Consiglio Italiano per i Rifugiati) “è che questo accoda possa essere la causa dell’apertura di altre rotte, ancor più pericolose, che possono riguardare la Bulgaria, l’Albania e i Paesi del Nord Africa. Rotte che potrebbero avere conseguenze per il nostro Paese. La nostra esperienza ci dice, purtroppo, che misure così restrittive non impediscono ai rifugiati di arrivare, ma complicano e rendono ancor più insicuro il loro viaggio”.

Il viaggio dell’orrore

W. ci racconta del viaggio per arrivare qui. E’ partito dalla Siria con sua moglie incinta e i suoi bambini di 4 e 5 anni, assieme ad altre decine di persone. I suoi genitori gli hanno dato tutti i soldi che avevano per sostenere il viaggio verso l’Europa, e portare in un posto più sicuro la sua famiglia. Gli hanno raccomandato di raccontare agli europei che in Siria sono i civili a pagare le conseguenze delle scelte irresponsabili dei governi. Hanno camminato dalla Siria alla Turchia per ore. Solo per qualche breve tratto, un po’ più sicuro dai bombardamenti e libero dalle postazioni militari del governo siriano, hanno viaggiato in autobus.

Sono giunti al confine turco-siriano passando attraverso campi e montagne. Al confine sono stati intercettati dai trafficanti, sciacalli che fanno soldi sulla pelle di chi fugge dagli orrori della guerra. In cambio di denaro, li hanno condotti verso la costa turca evitando i controlli. Sua moglie era incinta di 6 mesi quando sono partiti.

Come già detto, la Turchia mantiene tuttora la limitazione geografica alla Convenzione di Ginevra, dunque la regolamentazione sul diritto d’asilo in questo stato è assolutamente insufficiente. In Turchia diventare regolari è molto difficile. Non avendo nessuna forma di protezione sostanziale, il rischio è di finire nei circuiti del mercato del lavoro nero turco, che raggiunge tuttora percentuali spaventose. Significa, per chi già scappa da situazioni terribili, venire ingurgitati in un meccanismo in cui si è considerati come veri e propri schiavi. “Affidarsi ai trafficanti non è una scelta, è l’unica strada” ci dice W. con il pianto agli occhi.

Una volta giunti sulla costa turca, W. ci racconta che per attraversare l’Egeo e giungere sulle coste greche su un gommone, hanno dovuto pagare ai trafficanti 600 euro a persona. Un viaggio terribile. 5 ore di urla disperate dei bambini e delle donne presenti sul gommone, in cui erano presenti 55 persone. Sulle coste greche sono stati aiutati dai volontari delle ong presenti. Poi hanno proseguito il viaggio verso Kavala. E da Kavala verso Idomeni.

“Siamo confusi, depressi e arrabbiati. Siamo bloccati qui da un mese, e non abbiamo nulla per proteggere i nostri bambini dal freddo. Lasciami dire questo: siamo scappati in quanto “rifugiati” e siamo arrivati in Europa attraverso questo terribile viaggio. Credevamo di trovare nell’UE un’istituzione potente, che permettesse alle persone di salvarsi ed ai bambini di potersi curare o magari di poter andare a scuola. Abbiamo trovato tanti volontari da tutto il mondo che ci hanno aiutati. Ma sono solo persone. Chiediamo all’Europa di aiutarci, perché non abbiamo alternative. Siamo esseri umani. Non siamo animali.”

Un altro ragazzo ci racconta di essere stato costretto a guidare il barcone su cui erano presenti i suoi compagni di viaggio: 15 adulti e 44 bambini. “La mafia turca, dice, mi ha puntato la pistola alla testa. Tuttora non riesco a chiudere occhio. Ho ancora nelle orecchie le urla dei bambini e il terrore di poter essere stato il responsabile della loro morte in mare.”

A.,invece ci racconta un’altra terribile storia: la sua città in Siria non è stata bombardata. Daesh (l’ISIS) ne ha preso il controllo militarizzandola. Gli hanno proposto di fornire assistenza economica alla sua famiglia per tutta la vita se fosse andato in Europa a farsi esplodere. Ha deciso di rifiutare questo ricatto ed è dovuto fuggire, con grande dignità e coraggio. Adesso si trova a vivere questo incubo, trattato da reietto ai confini del sogno di libertà che aveva nutrito arrivando in Europa.

Sono molti quelli che hanno attraversato la Turchia, in mano ai trafficanti, per arrivare al confine greco-macedone. Sono molti perché non esistono canali umanitari per il diritto d’asilo europeo che garantiscano percorsi autorizzati e sicuri di ingresso per chi fugge dalle persecuzioni, una degna accoglienza a partire dal riconoscimento del titolo di soggiorno oltre che di percorsi di inserimento nel territorio, e l’apertura dei confini interni all’Europa.

Nel frattempo i paesi dell’ UE sono in balia del ricatto di un sistema finanziario che ha affamato diversi popoli (tra cui proprio quello greco e quello italiano, i più esposti ai flussi migratori), legittimando xenofobie e chiusure identitarie, e arricchendo banche e multinazionali. Il famoso 1% che detiene il 99% della ricchezza globale.

Le stesse che, per il dominio delle risorse naturali (come il petrolio), hanno strutturato un sistema post coloniale mostruoso. Il tutto con la benedizione dei governi occidentali, impegnati a loro volta a risolvere le proprie tensioni storiche attraverso le famose guerre per procura, armando gruppi informali terroristici e provocando danni enormi ed insanabili nei territori da cui adesso la gente è costretta a scappare. Senza considerare l’effetto dei cambiamenti climatici, provocato sempre da un sistema di sviluppo insostenibile e predatorio, per cui diverse aree del pianeta sono e progressivamente saranno sempre più inabitabili.

Ed eccone le conseguenze. A pagarne il prezzo, badiamo bene, saremo tutti. I flussi migratori non si fermeranno. E, ne sono convinta, se non ci sarà un’inversione di rotta da parte delle istituzioni europee, che privilegi solidarietà e riconoscimento dei diritti umani, su questa irresponsabile indifferenza l’UE andrà in frantumi. Siamo di fronte ad una sfida epocale.

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