Il Governo Renzi si è fermato ad Eboli

Pubblicato: 5 aprile 2016 in zona 22

Trivellazioni-nel-Cilento

Rispetto alle notizie recenti che coinvolgono l’ormai ex Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e il suo compagno Gianluca Gemelli, indagato per l’impianto Total Tempa rossa in Basilicata, emergono dati rilevanti, che tracciano un quadro a tinte fosche sulle implicazioni politiche attorno al settore petrolifero in Lucania.

Secondo le intercettazioni, realizzate nell’ambito dell’inchiesta antimafia sul traffico dei rifiuti realizzata dalla magistratura di Potenza, la Ministra Guidi avrebbe favorito l’interesse del suo compagno Gianluca Gemelli, titolare della società I.T.S e della Ponterosso Engeneering, entrambe attive nel settore petrolifero, garantendo il via libera a un emendamento alla legge di Stabilità, a favore del progetto petrolifero “Tempa Rossa”.

Il primo filone dell’inchiesta riguarda presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi al Centro Olii dell’Eni in Val D’Agri, a Viggiano. Secondo il gip i vertici locali dell’Eni “qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita” rifiuti pericolosi derivanti dall’attività estrattiva, come “non pericolosi”, alterando i dati sulle emissioni in atmosfera.

Il secondo filone concerne l’affidamento di appalti e lavori per il giacimento “Tempa Rossa” della Total, attraverso il potenziamento della raffineria Eni di Taranto. Ed è per questa tranche d’inchiesta che Gemelli è accusato di corruzione e traffico di influenze.

Il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la ci concessione è ad appannaggio di Total (al 50%) Shell e Mitsui. I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio.

Una volta estratto da qui, il petrolio dovrà essere portato a Taranto, per stoccarlo e raffinarlo. Il potenziamento della raffineria Eni, nella città dell’Ilva, è però inviso a cittadini, movimenti e politici locali. Il motivo è spiegato dall’Arpa Puglia che nel 2011 scriveva: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.

E’ a questo punto che interviene l’emendamento caldeggiato, secondo le intercettazioni, dalla Guidi: esso prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento.[1]

In caso di opposizione degli enti locali, il secondo comma del Decreto Sblocca Italia, inoltre, prevede che, in quanto strategiche, queste opere siano di competenza del governo.

Il 19 Dicembre 2015, viene dato il via libera per l’inizio dei lavori a Taranto.

Il dibattito sullo sviluppo estrattivo, in Regioni con un alta presenza di giacimenti petroliferi come la Basilicata, è spesso ostaggio del principio “petrolio = sviluppo economico del territorio”. Pubblichiamo di seguito alcune riflessioni rispetto a quello che 30 anni di sviluppo industriale estrattivo abbiano generato in Basilicata, la terra dalla quale è partita l’inchiesta che ha portato alle dimissioni della Ministra della Repubblica Italiana Federica Guidi.

Basilicata: il Texas italiano

Viaggio nella più grande riserva petrolifera d’Italia

Un ricco mosaico di paesaggi mozzafiato, di meraviglie naturali, sorgenti di acque minerali, antichi borghi abbarbicati sui monti, foreste fitte e selvagge. Una Regione che pare stia tentando un rilancio economico e culturale, investendo sulla fruibilità del suo territorio storico, dei suoi contenuti architettonici e culturali, con ampie ricadute turistiche. Tant’è che è Matera la città proclamata capitale europea della cultura 2019.

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A questa incommensurabile ricchezza paesaggistica e storica, si aggiunge un primato: la Basilicata garantisce oltre l’80% della produzione nazionale di petrolio. In particolare la Val d’Agri, con i suoi 38 pozzi di estrazione, di cui 27 in produzione e i restanti 11 “produttivi non eroganti”, costituisce “ad oggi il più grande giacimento di petrolio onshore dell’Europa Occidentale”[1], come si legge sul sito dell’Eni.

Ma quali sono i risultati di un modello di sviluppo che, da 30 anni a questa parte, fonda le sue basi sull’estrazione del petrolio?

Il 78% della superficie regionale è in mano ai petrolieri, sfondato e sventrato per l’interesse e il profitto di qualche multinazionale a discapito di un’intera comunità, con danni inestimabili all’agricoltura, al settore enogastronomico, al turismo, alla salute dei cittadini e al loro status economico e sociale. Sono questi gli effetti di quella che si può definire una vera e propria operazione coloniale, realizzata attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali, fuori da ogni prospettiva di sviluppo a lungo termine, ovvero sostenibile. La fetta più grande della torta va all’Eni che controlla il giacimento della val d’Agri. Ma alla spartizione partecipano anche: Shell, Delta Energy, Total, Rockhopper, Italmin, Aleanna e Apennine.

In cambio, la Regione incassa il 7% dei profitti che Shell e Eni accumulano: è la più bassa royalty d’Europa, meno dei diritti pretesi da Russia, Angola e Messico per le trivellazioni. Un bell’affare, a raffronto dello stupro di un territorio dalle risorse inestimabili.

Se guardiamo ai dati macroeconomici, l’Istat certifica che nel 2015, la Basilicata si aggiudica il primato di essere una delle regioni più povere d’Italia, con un tasso di povertà del 25,5%: un lucano su quattro è quindi povero. Un trend che si conferma tra i più disastrosi in un Paese che soffre drammaticamente il peso della crisi, con un tasso di povertà che al livello nazionale si attesta sulla soglia del 12% circa. [2]

Gli effetti sulla salute

Altro triste primato: l’incidenza dei tumori tra i lucani è superiore a quella che si registra nel resto d’Italia. Nemmeno nelle regioni del Nord, che pure sono zeppe di fabbriche, si presenta un’incidenza simile.[3] Tanto che – ipotizzando eventuali correlazioni con fattori ambientali – sono stati avviati supplementi d’indagine dal Dipartimento della Salute della Regione Basilicata e dall’Arpab.

Intanto i lucani si ammalano. Respirano un’aria densa di zolfo, anidride carbonica e metalli pesanti. Il numero dei casi di malattie infettive e respiratorie cresce costantemente, e ad oggi ha superato del doppio la media nazionale. L’elevata incidenza tumorale, tuttavia, non è una scoperta recente: già nel 1996 i medici segnalarono l’incremento di decessi e casi di tumore ai polmoni nella zona, legati anche agli incidenti legati alle attività estrattive (su molti dei quali nessuno ha mai svolto un’indagine). Il rischio di contaminazione delle falde acquifere è elevatissimo, data la vicinanza tra i pozzi e i corsi d’acqua: e nessun sistema di monitoraggio è attivo nella zona.[4]

Secondo la dottoressa Rosanna Suozzi, medico e attivista No-Triv “le perforazioni esplorative e le trivellazioni, innanzi tutto, non considerano mai l’impatto sanitario, provocato sia dall’uso dell’uranio impoverito (Brevetti della Halliburton 1984 e 2011) che da un mix di altri composti radioattivi e metalli pesanti, sulla testa delle trivelle, sia dall’utilizzo di solventi e sostanze chimiche (circa 700 secondo Dr Susan C. Nagel of the University of Missouri School of Medicine), usati per favorire la penetrazione delle trivelle nel sottosuolo.”

In particolare, ciò comporterebbe l’ aumentata incidenza di cancro della mammella nelle donne e di tumore alla prostata negli uomini. Anche gli scarti della lavorazione petrolifera, ossia i cosiddetti fluidi di perforazione (per un barile di petrolio sono necessari circa 160 lt di acqua), contaminando acqua e suolo, altererebbero la catena alimentare causando anch’essi danni alla salute[1].

[1]     http://www.eni.com/eni-basilicata/attivita/distretto-meridionale/distretto-meridionale.shtml

[2]     http://www.istat.it/it/archivio/95778

[3]     http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/basilicata/92044/In-Basilicata-e-record-per-malattie.html

[4]   http://www.viggianolab.it/userfiles/Basilicata%20Saudita_dirittodicronaca.pdf

 

Capitolo III: rifiuti

Nella “Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Basilicata”, documento prodotto nel 2012 dalla competente commissione parlamentare, si legge: “Una peculiarità del territorio è data dalla presenza di giacimenti petroliferi – concentrati soprattutto nella Val d’Agri e a Tempa Rossa, in provincia di Potenza – cui sarebbero connessi fenomeni di inquinamento legati alle perforazioni, aggravati dal possibile utilizzo illecito degli scavi per l’occultamento di rifiuti tossico nocivi.”[2]

Sebbene non ci siano evidenze di infiltrazioni strutturate della criminalità organizzata, si registrano diverse irregolarità ambientali come ad esempio:

  • la presenza di numerose discariche abusive, senza che ben si comprenda da dove provengano i rifiuti;
  • pozzi di prospezione petrolifera abbandonati in cui sono presenti rifiuti smaltiti illecitamente;
  • una delle percentuali più alte in Italia di rifiuti pericolosi sulla quantità totale di rifiuti speciali prodotti;
  • l’ inceneritore della Fenice, attivo da anni accanto allo stabilimento Fiat di San Nicola di Melfi, su cui pende un’inchiesta della Procura per aver avvelenato l’ambiente circostante e le falde acquifere del fiume Ofanto, ed aver tenuto nascosta la questione per anni, insieme all’organo di controllo preposto: l’Arpab.

Tra le varie inchieste aperte nel corso degli anni, è emersa anche la presenza di alcune società dedite al recupero rifiuti ferrosi nelle quali alcuni componenti degli organi decisionali erano vicini ad esponenti del «clan dei Casalesi». Un quadro a tinte fosche, che mostrerebbe uno «scarto» tra ciò che è emerso fino ad ora nel corso delle indagini giudiziarie svolte sul territorio lucano e la realtà fattuale sul traffico illecito di rifiuti. E’ di appena poco tempo fa, una interpellanza urgente, dall’esponente del Pd Alessandro Bratti, presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, insieme ad altri trenta parlamentari, secondo cui “La Basilicata, a fronte di introiti per 159 milioni, ha subito un inquinamento dell’aria e delle falde acquifere preoccupante. Chiedo al governo di riconsiderare e quindi modificare, in tempi brevi, la Strategia Energetica Nazionale, promuovendo la produzione di energia da fonti rinnovabili e riducendo, al contempo, la produzione di energia da fonti fossili[3].

Devastazione e saccheggio go on: l’ombra nera del deposito nucleare

La Basilicata è storicamente terra di conquiste e depredamenti. Ha subito la colonizzazione della Magna Grecia; la conquista romana; i successivi domini bizantino, longobardo e normanno; le sanguinose repressioni borboniche ed austriache; e per finire le vicende del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana. Terra di confino durante il fascismo, da sempre incarna l’espressione del sopruso e dell’ingiustizia coloniale. La più recente, appunto, quella messa in atto attraverso la svendita delle sue risorse naturali alle lobbies del petrolio e dello sfruttamento ambientale, in un sistema dominato dalla deregulation che privilegia le operazioni di mercato alla tutela della vita.

Una politica di gestione del territorio oscenamente pianificata e realizzata senza alcun coinvolgimento della popolazione locale, su cui, di secolo in secolo, si riversano sempre maggiori i costi di scelte predatorie.

Il prezzo che dovrà pagare a causa di decenni di politiche inique di gestione del territorio è elevatissimo, e il danno al territorio, molto probabilmente insanabile. Un disastro ambientale che interessa l’aria (inquinamento dagli impianti di desolfurizzazione petrolifera, stoccaggio e estrazione, inceneritori, cementifici, ferriere), il suolo (fanghi delle lavorazioni petrolifere, incidenti delle estrazioni, interramento rifiuti, acidificazione della Val D’Agri) e l’acqua, vera ricchezza della regione, fonte di approvvigionamento non solo per i suoi abitanti ma anche per alcuni milioni di cittadini di Puglia, Campania meridionale e Calabria settentrionale, che dipendono dai suoi bacini idrici.

Un disastro causato principalmente dalle estrazioni petrolifere e dalle attività correlate (desolfurizzazione, stoccaggio, reiniezione e trattamento reflui, trasporto). Ma connesso anche al sistema di discariche e di incenerimento, al ciclo di gestione integrata rifiuti, alle centrali a biomasse (Centrale del Mercure, Bernalda, Senise), cementifici (Barile e Matera), insediamenti industriali, aree SIN (Val Basento, Tito), impianti di produzione del bitume (Baragiano, Sant’Angelo Le Fratte), ferriere (SiderPotenza) e, da ultimo, il ciclo di trattamento scorie radioattive (Itrec della Trisaia a Rotondella).

Come se non bastasse, sulla martoriata regione, incombe adesso anche l’ombra nera di un deposito nucleare nei territori di Matera e Irsina. Secondo alcune indiscrezioni, la Basilicata , potrebbe trovarsi difronte ad una nuova minaccia ordita dal governo Renzi che avrebbe individuato tra le aree selezionate proprio la Basilicata nella mappa dei siti ancora secretata dal governo.

Si prevede di stoccare in un deposito nazionale di superficie 90.000 mc di rifiuti, di cui 75.000 mc per un tempo di appena 300 anni, e 15.000 mc ad alta attività in via provvisoria in attesa di individuare un sito sotterraneo idoneo. 15.000 mc di rifiuti ad alta attività, per i quali dovranno trascorrere migliaia di anni prima che diventino innocui[1].

Un bello sfondo, insomma, per la capitale europea della cultura 2019.

Trivellazioni-nel-Parco-del-Cilento-domani-Shell-incontra-i-sindaci

 

 

[1]     https://augustodesanctis.wordpress.com/2015/06/14/il-deposito-per-i-rifiuti-nucleari-iter-in-corso-tra-biciclette-e-panchine-a-breve-la-mappa/

[1]              http://www.qualenergia.it/printpdf/articoli/20151124-trivelle-petrolio-e-salute-il-caso-della-basilicata

[2]              http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/017/d010.htm

[3]           da olambientalista.it fonte ANDkronos (http://www.olambientalista.it/?p=40755)

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